Ne sentivamo parlare da un bel po’… qualcuno ha cercato di capirci qualcosa, altri, con l’atteggiamento del “non può accadere a me”, lo hanno lasciato sullo sfondo. Piano piano, lui, il Covid, si è avvicinato e ha cominciato a toccarci. Ci siamo sentiti a mano a mano più vulnerabili, se non per noi personalmente, per i nostri cari e, forse, per un senso civico a volte fin troppo latente. Ad un certo punto ci hanno sbattuto le porte in faccia. Tenetele chiuse. Restate dentro. E così volenti o nolenti, consapevoli o meno, ci siamo ritrovati in casa, ci è toccato riorganizzare le nostre vite. Un impatto forte. L’impatto economico immediato e non solo, l’impatto scolastico e lavorativo, l’impatto sociale, l’impatto emotivo, l’impatto fisico.

Questo virus ha rivoluzionato il nostro mondo: ha rimesso in auge le piccole distanze e allo stesso tempo fatto sentire l’importanza di tutte le nostre relazioni. Ci stiamo ritrovando in casa, fermi a guardarla e a viverla, ma anche presi a scoprire una quotidianità ai più sconosciuta. Una vita d’altri tempi si direbbe…. con tutta la modernità che possiamo: il mondo virtuale diventa reale e rischiamo di perdere i confini, quantomeno di sfumarli tutti. I nostri adolescenti ci battono: loro da tempo vivono queste relazioni e li abbiamo rimproverati, criticati perché non è un mondo reale e ora… ci siamo tutti dentro e pare che da questo ricostruiamo la nostra normalità. Siamo in casa, nella nostra famiglia nucleare, qualcuno da solo e non abbiamo altri contatti. ci è stato chiesto di non toccarci, di non baciarci, di non abbracciarci. E così guardiamo i vicini dal balcone, osserviamo chi cammina in strada. Non lo stiamo scegliendo e così ci sentiamo deprivati, svuotati. Aumenta il nostro bisogno di ricollegarci e allora aumentano le connessioni tramite internet: videochiamate, maggiore presenza sui sociali, lavoro virtuale con frequenti riunioni virtuali. La vita che non può fermarsi, perché bisogna continuare a lavorare, perché non sono ferie, perché se ci fermiamo sentiamo il silenzio, il vuoto, il sospeso, l’incertezza, la malattia. e lì probabilmente salirebbe l’angoscia, la nostra di adulti abituati a gestire e controllare. Crescerebbero anche le domande da parte dei bambini e degli adolescenti, quelle che ti inchiodano perché loro si fidano di noi, ci chiedono soluzioni, risposte, certezze. Allora ci mettiamo a fare, fare per noi, fare per loro. Stare, solo stare, in questo momento pare veramente tanto difficile.
Il tempo diventa una variabile essenziale proprio ora che lo spazio è limitato. Tempo sospeso, tempo dilatato, tempo immerso nella bolla dell’incontrollabile. Che giorno è? come quando d’estate ogni giorno è uguale all’altro e anche meravigliosamente diverso, perché ogni giorno è se stesso. Se lo chiedono i bambini, da quelli più piccoli ai più grandi; se lo chiedono gli adulti; se lo chiedono gli anziani. Fino a quando? 15 marzo, 3 aprile, forse di più… poi chissà. Tempo sospeso, tempo di attesa. Il tempo di vuoto e di pieno di quando si aspetta un risultato di un esame medico, o di un esame all’università, di un “le faremo sapere”, di un concorso… Tempo sospeso. Dove se trattieni il fiato puoi rischiare di non ossigenare il cervello, di perdere il senso, e dove non trattenerlo pare porti il rischio di rilassarsi troppo, ti perdersi. è come se fossimo persi nel tempo: chiusi in casa in un tempo inaspettatamente dilatato o quanto meno rivoluzionato. Routine perse, impegni saltati o rimandati, senza più il tempo degli spostamenti, delle attese, dei respiri, di un caffè al bar come pit-stop. Ci affrettiamo a riempirlo quel tempo, per noi, per i nostri figli, o per quello che noi pensiamo sia meglio per loro. Tollerare la noia, la libertà , il non organizzato, il tempo vuoto è disarmante e senza difese non possiamo stare.

Sono il nostro cappotto quando fa freddo, il cappello quando c’è troppo sole, le nostre difese. Ci proteggono dai pericoli o da quelli che percepiamo tali. Questo isolamento ci mette a nudo e fa emergere le nostre emozioni. Qualcuno le sente amplificate, qualcuno le copre a più non posso o prova a non ascoltarle. Ognuno ha il suo stile, costruito nel tempo: c’è chi le situazioni le affronta partendo dalle proprie emozioni e chi prendendo di petto il problema. Va bene tutto: è il nostro stile e ci ha portato fin qua. Basta che non mettiamo il cappotto ad agosto! Se il nostro stile diventa una corazza, un modo per escludere rigidamente ogni altra possibilità, allora forse corriamo il rischio di tagliarci fuori un pezzo di vita e di ritrovarci tra un po’ o alla fine di questo periodo stanchi, disfatti, induriti. Sarebbe importante poter dare spazio alle nostre emozioni, darci il tempo di trovare le nostre strategie, darci il modo di cambiare e sperimentare per quello che può farci star meglio. Questa quarantena può riaprire ferite malamente cicatrizzate o squarciare le nostre fragilità: sale la preoccupazione e diventa ansia o angoscia, ci arrabbiamo con chiunque sembra poterci ledere e scarichiamo la nostra aggressività verbale, non vediamo l’altro chiusi nei nostri si deve, tolleriamo male le restrizioni e sfidiamo la legalità e il buon senso. Le emozioni trovano le strade più disparate e creative per emergere, per farsi spazio, soprattutto quando un canale non lo cerchiamo noi per loro. Ascoltare quello che sentiamo e come ci sentiamo ci aiuta a cogliere di cosa abbiamo più bisogno e così poter trovare il modo migliore per noi di ottenerlo. E se ci saremo occupati dei nostri bisogni potremo guardare all’altro con le sue fragilità, con i suoi bisogni e le sue emozioni e poter stare con lui, e potremo accompagnarci per un tratto di strada insieme.
Non sappiamo quando tutto questo finirà e non sappiamo come ci ritroveremo: noi possiamo intanto scegliere come vivere questo tempo. Può diventare una meravigliosa scoperta di noi stessi e della nostra capacità di adattarci alle situazioni, una scoperta delle nostre abilità nel vivere le difficoltà e i limiti imposti, una finestra sul nostro sapere stare .
Psicologa e Psicoterapeuta
Dott.ssa Emanuela Lopez