Ogni bambino è magnificamente sé, ogni persona è magnificamente sé.

Ogni bambino fa quel che sa e può per nutrire la sua fame di stimoli, struttura e relazione.

I genitori però, e quando non loro il pediatra, la maestra, i professori, i nonni, gli amici, gli zii e… ‘tutto il cucuzzaro’, a volte chiedono se va bene come fa, che poi per i genitori è chiedersi implicitamente se vanno bene loro per quello che fanno e per come sono genitori, mettendosi sotto l’esame, proprio e di altri. Partono così anche i confronti: quasi una gara a chi fa prima e a chi fa di più. Il bombardamento mediatico, le informazioni frammentarie prese da riviste, internet e voci di strada non aiutano, fornendo stimoli parziali e diventando arbitrari parametri di valutazione: il rischio è di perdere di vista il bimbo nel suo insieme, con i suoi bisogni e le sue peculiarità.

Da operatrici “psi” spesso diciamo “dipende, bisogna capire”… nel tentativo strenuo di difendere quell’unicità e contestualizzare, perché c’è sempre un bimbo, il suo temperamento, il suo modo di leggere il mondo e insieme un contesto fisico, emotivo, relazionale.

Nell’incontrare un bambino abbiamo di certo in mente linee di sviluppo ideali, percorsi con tappe principali e tante teorie riguardo i vari aspetti dello sviluppo psicologico, motorio, emotivo e cognitivo. Pensiamo agli studi di Piaget, Erikson, Vygotskji, ma anche alle teorie psicodinamiche, da Freud a Berne e tanti altri: ma queste teorie rappresentano coordinate, non sono per noi tabelle in cui costringere i bambini.

Certo che sappiamo, anche da mamme, che essere genitori è un’esperienza per la quale non ci si sente mai sufficientemente preparati e allora, anziché modellare le proprie convinzioni secondo il “Guru” più alla moda, perché non vivere esperienze? Perché non provare a sentire come il proprio bimbo sente, a vedere quello che vede, a interagire col mondo mediante gli strumenti che lui/lei ha a disposizione in quel momento? Per esempio pensando ai lattanti com’è brancolare in una stanza buia (il bimbo all’inizio vede pochissimo), percepirsi senza confini corporei (all’inizio il bimbo si percepisce attraverso il contatto, altrimenti non ha consapevolezza dei propri confini e del proprio essere), sentirsi parte attiva di un meraviglioso linguaggio chiamato “dialogo tonico”, utilizzare il pianto come unico strumento di comunicazione? Sperimentare e poi condividere con altri genitori il proprio vissuto e le proprie emozioni per trarre spunto per riflessioni riguardo a quale sia realmente lo sviluppo “corretto” di ciascun bimbo, a come, anche col supporto degli esperti, si possa favorire uno sviluppo armonico e sereno e, soprattutto, a come tutto questo si traduce per il proprio figlio e per se stessi.

E ancora perché non sperimentare con il bambino e imparare ad osservarlo nella sua globalità, senza perdere di vista i singoli aspetti? e in questo darsi anche la possibilità di scoprire come il proprio bimbo percepisce e vede il mondo. E farlo relazionandosi attivamente con lui, perché la relazione genitore-bimbo è uno strumento indispensabile per la costruzione del Sé di ciascuno.

A scoprire il nostro bimbo come fa si apre la via per la prevenzione di varie difficoltà psicologiche ed emotive nel breve e lungo periodo: così, secondo noi, i genitori possono individuare precoci segnali di disagio (emotivo, relazionale, fisico) così da intervenire e prevenire lo strutturarsi di problematiche più significative o cogliere le disfunzioni evolutive e agire per contenere le difficoltà e supportare il bambino nel proprio percorso evolutivo. In questa esperienza si inizia ad osservarsi e ascoltarsi nella relazione con il proprio bambino, che è lo strumento più importante e potente che abbiamo per costruire la salute psicologica degli adulti di domani.

Dott.ssa Michaela Huber…

Dott.ssa Emanuela Lopez…

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