Cos’è la psico-oncologia
Alcune parole sono ancora tabù, richiamano nel nostro immaginario mentale angosce profonde, spettri amari. Dall’altra parte il mondo medico vive con speranza e fiducia i progressi della comunità scientifica nel trattamento di alcune malattie e si appoggia ottimisticamente ai dati statistici. Nell’incontro paziente – medico due universi si incontrano e si scontrano con tutte le difficoltà che derivano dal non riuscire a parlare di emozioni. Presi nel “cosa c’è da fare” ci si perde, da ambo le parti, il “come sta?”, “come si sente?”, “di cosa ha bisogno ora?”.
La psico-oncologia si rivolge a questo terreno, per farlo emergere, per colmare il vuoto che rischia di diventare baratro. È indubbio, infatti, che la diagnosi di cancro, patologia cronico-grave che minaccia la vita stessa anche se non è necessariamente una sentenza infausta, può generare nell’individuo che la riceve un vissuto di profondo stress. La vita del paziente e della sua famiglia è rivoluzionata, gli equilibri spesso si deteriorano di fronte alla gravità di questa diagnosi, nonché all’impatto e alla durata dei trattamenti proposti.
È importante sottolineare a tutti i livelli (ricordandolo ai medici, dando il permesso ai pazienti e ai loro familiari di esprimerlo, sensibilizzando le comunità) che apprendere di essere malati di una patologia di questo tipo è traumatico: ci si sente male, si ha paura, ci si preoccupa per sé e per gli altri (coniuge, figli, genitori), per il proprio lavoro… è uno squarcio sul cammino della propria strada, un punto di demarcazione tra ieri e domani, un momento in cui priorità e certezze si rivoluzionano.
Permettersi di esprimere quello che si sente e si pensa è un passo importante di un lungo cammino che porta all’adattamento e all’accettazione, prerequisiti, questi, fondamentali per affrontare i trattamenti. Parlare di quello che si prova è anche il passo fondamentale per poter sviluppare gradualmente una visione realistica degli eventi: spesso in effetti la sola diagnosi terrorizza e poco importa che il medico sia lì a spiegare lo stadio della malattia e la prognosi, nella testa rimarrà, riverberando, solo la parola-tabù. Per questo si dovrebbe poter aver il tempo e la possibilità di parlare più volte con il medico della diagnosi comunicata.
È vero, del resto, che ogni persona ha il suo modo di reagire: alcuni tenderanno a concentrarsi solo sulle emozioni (magari deprimendosi o agitandosi), altri solo sul da farsi (attivi e precisissimi sugli appuntamenti da prendere e i passi da affrontare) perché questo è ciò che fanno abitualmente nella loro vita. Sarebbe buono se ognuno, pur nel rispetto del proprio stile personale, potesse trovare uno spazio per lo stile opposto così da arrivare ad un personale equilibrio.
A volte si dà poco spazio a ciò che si sente, perché bisogna essere forti: per i figli, per il partner, per il genitore anziano o fragile, e si tira avanti, ci si concentra sui trattamenti, ci si affanna a non modificare la propria quotidianità, come se toccare le proprie emozioni fosse un campo minato da cui allontanarsi. Poter dire che sono spaventato per me, che mi sento violato, che mi sento fragile…, poter piangere, urlare, arrabbiarsi… non cambia la diagnosi, forse non cambierà nemmeno il decorso della malattia, ma darà la possibilità di vivere in modo unitario questa fase di vita e non divisi e sconnessi, come da una parte un corpo malato da curare e dall’altra un cuore e una mente sofferente ma che devono andare avanti.
Parlarne con una persona cara può essere un momento di condivisione e vicinanza importante. Poterlo fare con uno specialista può invece essere l’occasione di riconoscere uno spazio, spesso negato, a se stessi, al proprio vissuto, di valorizzare le proprie risorse e affrontare le proprie fragilità. Spesso è utile anche parlarne con altre persone che condividono esperienze simili, per scoprire che i vissuti possono essere simili e scoprirsi meno soli di fronte alla malattia.
Autore:
Dott.ssa Emanuela Lopez (psicologa, psicoterapeuta, analista transazionale)
Pubblicato da:
EMME: il magazine delle mamme e delle donne
Dicembre/Gennaio 2014 Numero 08 (pag 6)